PRIMÆ
Qualità, etica e generatività secondo natura
Primae è un brand Etnopharma che racconta un nuovo modo di reperire le materie prime offrendo la massima qualità nel pieno rispetto delle persone e dei paesi da cui sono raccolte e importate.
Primae garantisce il diretto controllo della filiera sia per i consumatori che per i produttori.
Piante, arbusti, semi e spezie vengono importati dalla zona tropicale del pianeta. Queste varietà, in Europa e in occidente sono poco conosciute ma, offrono delle caratteristiche nutraceutiche senza eguali.
Grazie alla collaborazione con il team medico qualificato del Prof. Grandi e dal Dipartimento di Biotecnologia molecolare e Scienze per la salute dell’Università degli Studi di Torino, PRIMÆ offre sia prodotti innovativi
di qualità testata che prodotti agroalimentari certificati, mixando in modo consapevole i principi dell’economia classica ai nuovi principi dell’economia sociale.
L’etica PRIMÆ muove i suo passi verso la salvaguardia del pianeta, riportanto i nostri tempi frenetici ai tempi ragionevoli che la natura suggerisce.
Le materie PRIMÆ
• Moringa Oleifera
• Baobab
• Musa Paradisiaca
• Cacao
Ritorno alla Madre
Dalla botanica delle piante superiori, un quarto dei farmaci, in crescita.
L’Uomo, attraverso l’industria, ritorna alla natura, ritrova la Madre.
4.500 campioni ogni anno, studiati dal solo Istituto Nazionale del Cancro negli USA, selezionati tra le piante delle foreste pluviali di tropici, sviluppatesi per migliaia di anni insieme ad insetti parassiti, funghi, animali e costrette ad elaborare complessi meccanismi chimici per la sopravvivenza.
Ecosistema unico, ma fragile: 20 mila ettari di foresta vengono distrutti ogni giorno (FAO).
In quindici anni abbiamo perso il 3% della superficie arborea.
Dalle Piante all’Uomo, dall’Uomo alle piante
Eppure la voglia di esistere, resistere, riesistere emerge nello sguardo delle popolazioni indigene che si battono per la tutela della foresta pluviale, dal Nord Dakota fino ai deserti australiani. Esplode in un impronosticabile coro di successi il trionfo delle tribù indigene in tutto il mondo, nel conflitto volto a preservare il proprio habitat naturale. Una lotta globale fatta di battaglie locali.
Una nuova concezione, maturata negli anni ’90, lega gli attivisti ambientali, i movimenti politici, le Chiese, le tribù indigene e le popolazioni locali di tutto il mondo, in nome della tutela del territorio e delle sue risorse. Risvegliano impulsi universali, persino primitivi: imperativo è proteggere i propri figli riconnettersi con il Creato.
La tutela della storia umana è legata a quella del nostro habitat naturale.
I custodi del nostro passato sono le sole guide possibili per il nostro futuro.
I 17 paesi” biologici “dove oggi sono ospitati i due terzi delle risorse biologiche planetarie esistenti al mondo sono territori abitati dalla maggiorparte dei popoli indigeni.
Le novità che stanno mutando lo scenario hanno registrato un’esondazione di richieste dell’ambito terapeutico, fitosanitario, per nuove proposte commerciali caratterizzate da target salutistici e di benessere.
Nuovi prodotti, registrati nel settore food, (sottosettore integratori alimentari) hanno occupato lo spazio determinatosi tra il farmaco allopatico e l’alimento, hanno costretto ad aprire nuove strade per un’utilizzazione “scientificamente” documentata. Seppure a livello normativo considerati a tutti gli effetti degli alimenti, i nuovi prodotti vengono percepiti dai consumatori/clienti/estimatori come importante componente per la prevenzione e il mantenimento della salute, come evidenziato dal nome loro assegnato dal marketing: nutraceutici, in uso a livello commerciale, ma presente in molta letteratura sia scientifica che normativa.
Il mondo delle sostanze naturali si trova al centro di una serie di interpretazioni della natura dei prodotti derivati a seguito della gamma di recenti utilizzazioni nei diversi settori, dalla cosmetica alla terapia, passando per l’intera gamma degli integratori alimentari.
Occorre operare sulla base del fingerprint (l’insieme delle sostanze secondarie o primarie prodotte) ottenuto mediante tecniche di biologia molecolare, sulla droga vegetale e, se estratti, mediante HPTLC GC, MS, HPLC/MS, NMR, confrontando i risultati e completandoli con differenti metodiche. È il nostro impegno.
L’etnobotanica, ovvero lo studio dei mille usi delle piante da parte dell’uomo ha vissuto epoche avventurose e floride durante il Novecento, quando il fascino delle esplorazioni ha potuto coniugarsi con l’immaginario amplificato della divulgazione mediatica e con la compenetrazione tra l’approcio umanistico e quello scientifico.
Richard Evans Schultes è stato probabilmente uno dei più famosi etnobotanici di sempre, grazie al suo spirito da esploratore ed all’appeal della sua specialità -le piante allucinogene- che si addentellava alla perfezione con molte realtà culturali e sociali del suo tempo. La sua importanza fu figlia di un cocktail elaborato e ben calibrato:
una parte di scienziato (suoi i primi lavori su peyote, yajé, ebéna e curaro negli anni ’40, sua la scoperta e classificazione di un enorme numero di specie botaniche tra cui oltre 2000 di uso medicinale), parti uguali di Colonnello Kurtz, Indiana Jones, Fitzcarraldo e Castaneda (sparì in fuga solitaria per 12 anni tra Venezuela e Brasile, vivendo presso le popolazioni amazzoniche e sperimentando le loro pratiche enteogene basate sull’uso di piante),
una parte di comunicatore di successo (The Plants of the Gods: Their Sacred, Healing, and Hallucinogenic Powers è tutt’ora in stampa ad oltre 30 anni dalla prima edizione), una parte chioccia (fondatore ed editore della rivista Economic Botany per lunghi decenni) ed una parte Cartier-Bresson (con la sua Rolleiflex ha perpetuato viaggi, esperienze e culture ed una selezione delle sue foto è raccolta in questo bel libro, giustamente segnalato anche dalla guida Lonely Planet del Brasile).
Ora, a dieci anni dalla sua scomparsa è stato reso di pubblico dominio il corpus integrale delle sue pubblicazioni, una risorsa fondamentale per chi volesse cimentarsi in una tesi interdisciplinare sulla sua figura. Per tutti gli altri, il contributo migliore per comprendere il personaggio ed il suo ruolo nel definire il baricentro di una disciplina ibrida per definizione è questo bel reportage del New Yorker del 1992.
Bibliografia
http://media.accademiaxl.it/memorie/S5-VXXXVII-P2-2013/Pellicciari247-264.pdf
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